giovedì 17 gennaio 2013

Donne di Serena Domenici


Prima di iniziare il mio articolo, mi sono documentata su vari fronti.
Volevo verificare se il termine “Femminicidio” risultasse, non solo per me, una nota stonata. Ammetto di averlo usato anch'io in passato, adeguandomi alla situazione, ma di averlo sempre percepito alle mie stesse orecchie con disagio.

Si, questa parola mi fa sentire parte di una specie mal protetta, o peggio, un calderone dove riversare ogni genere di abuso o violenza. Ad essere sincera, tutto ciò non mi fa nemmeno sentire in colpa o uno struzzo  che vuol mettere la testa sotto la sabbia.

Sono molte le donne morte per mano di alcuni uomini, ma le origini del crimine sono spesso anche di altra natura. Alle volte si è trattato anche di casi di esaurimento nervoso, depressione, disperazione, non riconducibili (non sempre almeno) a delitti di possesso, abuso o violenza gratuita. In alcuni casi accanto ad un carnefice uomo, c'era anche una figura femminile che anche se non si è macchiata materialmente del delitto, ne è comunque stata complice  o ideatrice.


Forse sarebbe più giusto usarlo in Messico questo termine, dove vi è una vera e propria mattanza di donne, fatte sparire , stuprate e  infine uccise. Quindi ben più specifico. Ho ascoltato anche uomini, perché il loro parere è importante e, tanto quanto il nostro. Quelli che ho interpellato io erano  tutti d'accordo nel condannare la violenza verso le donne, ma si sentivano chiamati in causa ingiustamente nel momento stesso nel quale questo termine li faceva sentire parte comune di un progetto a delinquere. Rilevante l'esempio di un certo Riccardo: “se un Valdostano ammazza qualcuno, devo chiamare in causa l'intera comunità della Val D'Aosta?”.

La Violenza è fine a se stessa. Un soggetto violento se la prenderà sempre con una persona più debole fisicamente o psicologicamente: donne, bambini, anziani e anche uomini. Questo mio discorso non azzera il problema, né vuole sminuirlo. Sarei una pazza se negassi l'evidenza. I casi di cronaca nera sono in aumento, così come sono in aumento i casi di giovanissimi che uccidono o perseguitano i loro partners. E' indubbio che siano maggiormente le donne, 'vittime sacrificali' di questo malessere diffuso nella nostra società odierna.

Non credo ci sia soluzione immediata. Ma ritengo che sia necessario parlarne, diffondere il messaggio, squarciare i veli dell'ipocrisia che troppo spesso accumunano uomini e donne. Ben vengano quindi iniziative come “2Lei” che hanno lo scopo di informare e sensibilizzare il Web attraverso iniziative culturali che ci guidano alla riflessione. 
Ecco forse una parziale soluzione al problema: educare le nuove generazioni al rispetto di regole basilari. Dietro ad un ragazzo che accoltella la sua ex fidanzatina perché semplicemente ha deciso di troncare con lui, ci sono dei genitori troppo permissivi. Ci sono genitori che non gli hanno insegnato la regola dei “NO!”. Non gli hanno insegnato che nella vita si prende e si dà. Non hanno rispetto per i loro insegnanti, non hanno rispetto verso nessuno. 
In quanto insegnante ne avrei di cose da raccontare, tant'è che vorrei occuparmi con i miei amici anche di educazione alla non violenza. Lo avevo già anticipato all'ultima riunione di “2Lei”.

Non so avete mai visto il film “I  Mostri” di Dino Risi. Nell'episodio “L’educazione sentimentale'', Tognazzi spiega al figlio (Ricky Tognazzi) la propria filosofia di vita fatta di soprusi, furberie e trasgressioni a getto continuo. Il figlio, cresciuto a questa scuola, da adulto diventerà un criminale. (tratto da una recensione del film)

E chi ci Governa, la smetta per favore di ridurci ad uno spot propagandistico o televisivo. Non si può incitare le donne vittime di abusi a denunciare, se poi la Legge non le tutela fino in fondo, offrendo protezione a loro e ai loro figli (se ne hanno).
Quanti sono i casi di morte annunciate? Quelle poche donne sedute in Parlamento contano effettivamente qualcosa, o fanno soltanto male il loro lavoro?

Per questo motivo, e per tanto altro ancora, dico no al termine
“Femminicidio”. Sono una donna, non un genere! E se morissi per mano di qualcuno sarei soltanto un essere umano, uno tra i tanti, morta nel freddo silenzio di una società indifferente.

Oltre a leggere e ad informarmi, ne ho parlato con una mia amica, Johakim, una scrittrice piuttosto nota nel Web (e non solo) sempre attenta e disposta a mettersi in prima fila per ciò che riguarda le varie tematiche sociali.
Collaborerà col mio Gruppo, da esterna. Questa la sua risposta:

“Si Serena, sono pienamente d'accordo con te. La parola “femminicidio” suona male, è stridente e per una volta sono concorde con quello che Isabella Bossi Fedrigotti dice nell'articolo che alleghi alla mail. "Femminicidio", riporta alla parola "Femmina" (e quindi, secondo me, discriminante oltre che maschilista). Sarebbe meglio definirlo altrimenti: "massacro", per esempio;  "omicidio delle donne"; o "l'ennesimo assassinio di una donna".

Ecco, la parola "donna" è certamente (a parer mio) molto più onesta ed adeguata. Arrivo da una generazione che ha combattuto in piazza per la legge sull'aborto e sul divorzio. Non sono femminista e non lo sono mai stata ma ritengo sia doveroso, necessario e costituzionale che le donne abbiano la stessa identica considerazione che ha l'uomo.
Non mi sento protetta. Mi sento discriminata; mi sento non rappresentata, soprattutto quando un "cretino alto un metro" ha la libertà ed il permesso di dire in televisione: "donne... comuniste... giudici" con così tanto disprezzo da lasciarmi senza fiato (scusa la digressione... ).
Tutto questo per dirti che la parola "femmina" ancora una volta traccia una demarcazione fra i due generi in maniera non precisa e decisamente ambigua.
Io sono principalmente "donna". Quando mi ammazzano, muoio come un essere umano”. 


Serena Domenici